Due ruote senza frontiere

LA STORIA DI ANDREA FUCILE, GLOBETROTTER CALABRESE

Ci sono storie,  che quando le conosci, poi ci pensi su e non sai bene neanche il motivo: in fondo sono solo fatti che accadono ad altri. Andrea Fucile (foto sotto), globetrotter trentenne e blogger calabrese, sta girando l’Italia per presentare il suo libro Girovaga(bo)ndo ed è passato da Reggio Calabria. Ha raccontato della sua esperienza, del suo inizio con un viaggio in Scozia per apprendere l’inglese e poi dritto alla volta della speranza in Australia. Ma quando si è trovato in mano il gruzzolo raccolto nei due anni di fatiche, ha pensato bene di investirlo nel suo girovagare: quattro continenti e cinquantotto paesi in dieci anni circa. Non saprei come altro definire questo viaggio del nostro Ulisse, che è tornato a casa per completare il suo libro e ripartire alla volta di un’altra tappa nel suo giro d’Italia in Vespa.

Un viaggio iniziato pensando e ammirando luoghi e panorami con la valigia al seguito, su treni e aerei, soggiornando in alberghi e ostelli, e proseguito poi perdendo i pezzi, trasformandosi da turista in viaggiatore, da viaggiatore in esploratore di territori sconosciuti: il cuore degli uomini. Durante il suo viaggio, Andrea comincia a fare a meno del bagaglio, opta per uno zaino in cui infilare l’indispensabile (davvero poco è ciò che serve) e si sposta soprattutto a piedi, sceglie di essere ospitato da persone disponibili che aprono le proprie case in cambio delle sue storie (attraverso un sito internet che in tutto il mondo mette in contatto ospiti e ospitati). Un viaggio che vede come luogo d’elezione l’umanità, la cultura, l’ospitalità delle persone che incontra. Piano piano, senza rendersene conto la sua vita si trasforma, prende una piega inaspettata.

 

Chi è oggi Andrea? Un vagabondo, un cacciatore di emozioni, di umanità, un iperattivo, un sognatore, un folle, uno che segue la strada ma che sa anche tornare a casa. Non è un poeta, Andrea, ma fa poesia della sua vita nel suo atto di fiducia all’umanità, offrendo un motivo di speranza. Il suo è uno sfuggire alla vita, e anche un immergersi, un atto di fede in quanto di buono c’è nella gente di tutto il mondo. Fermarsi alla sera per raccogliere le idee e poi lasciare luoghi e persone verso nuovi panorami ma soprattutto nuove esperienze. Una vita di solitudine, in cui contare solo su se stessi, circondato da tantissime persone che alla fine diventano una sola: quell’uomo che conosce bene e non conosce affatto.

Ci sono tante persone che girano il mondo come lui, di ogni età, di ogni paese, uomini e donne senza un obiettivo preciso, né uno scopo se non quello di un personale arricchimento, eppure danno la possibilità a ciascuno che li incontra di compiere un piccolo atto di fiducia nell’uomo. Così viaggiare,  diventa una cosa diversa, qualcosa che ha sempre meno a che vedere con i luoghi che si attraversano, con il paesaggio, la natura, e ha sempre più a che fare con le persone con cui si viene a contatto. Ma non è facile, i pericoli ci sono e il male non è mai troppo lontano da nessuno. Come per Pippa Bacca, per esempio, che voleva seminare la pace e la fiducia nel prossimo (così riporta Wikipedia) attraversando la Turchia in bicicletta fino a Gerusalemme, e che non la raggiunse mai perché uccisa dall’uomo che le aveva dato un passaggio. Ogni categoria ha i suoi martiri, anche i viaggiatori a senza bagaglio e senza ricchezza hanno i loro. Questo è solo un caso saltato alla cronaca.

Non sono dunque dei sognatori  fuori dalla realtà, questi uomini e donne, conoscono il male del mondo eppure continuano a offrirsi sua alla mercé. Non sono neanche pazzi perché valutano i rischi prima di affrontare la loro impresa. Dunque? Accanto a qualcosa che somiglia al desiderio di mettersi alla prova c’è anche il desiderio di mettere alla prova la speranza, anzi la consapevolezza di un mondo buono che esiste ed è soffocato dal risalto ossessivo, all’attenzione al male, all’orrore. Sono, forse, i nuovi paladini della speranza -“quella cosa piumata che si viene a posare sul cuore” (Dickinson)- consentendoci attraverso piccoli atti da nulla, piccole storie da poco, gesti minimi senza rumore di costruire strade tra le persone, proprio ora che i muri dell’ortodossia si levano da ogni parte e le porte dei cuori perdono le loro maniglie.